- COS’E’ L’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA (IPB)?
L’Ipertrofia prostatica benigna (IPB) è quella condizione clinica in cui si ha un notevole ingrandimento di uno o più lobi prostatici, tanto da causare notevoli difficoltà alla minzione, fino ad arrivare all’ostruzione, dovendo ricorrere al posizionamento permanente di un catetere vescicale, o all’intervento chirurgico, per superare tale limitazione.
Attualmente l’intervento più praticato è la resezione endoscopica transuretrale (TURP) o la rimozione dell’adenoma prostatico mediante chirurgia tradizionale. I pazienti che presentano una concomitante patologia cardiovascolare, respiratoria o diabetica, o che assumono farmaci anticoagulanti, sono esposti a un serio aumento dei rischi operatori.
Questi pazienti, come anche chi non intende procedere alla resezione chirurgica endoscopica tradizionale della prostata o che desiderano cessare l’assunzione di farmaci dedicati a questa patologia, possono sottoporsi a una soluzione terapeutica alternativa, meno invasiva, quale appunto l’intervento percutaneo di embolizzazione selettiva delle arterie prostatiche.
- QUAL E’ LA CURA TRADIZIONALE?
L’Ipertrofia prostatica benigna (IPB) normalmente si cura tramite intervento chirurgico tradizionale. Sono previste però anche tecniche alternative non chirurgiche tradizionali, oppure la cura farmacologica o la semplice osservazione.
- interventi chirurgici:
- La TURP (Trans-Urethral Resection of the Prostate. Resezione transuretrale della prostata) si effettua in endoscopia tramite uno strumento detto resettoscopio che viene inserto nell’uretra fino a raggiungere il restringimento del lume uretrale provocato dall’ingrandimento della prostata. Prima dell’intervento si posiziona un catetere vescicale che verrà mantenuto per circa 3/5 giorni. E’ consigliabile una degenza di almeno 3/4 notti in clinica. Questo intervento è ritenuto il Gold Standard per tale patologia. Nella maggior parte dei casi questo intervento consente di risolvere definitivamente le problematiche connesse all’IPB.
- La PROSTATECTOMIA: Questa tecnica operatoria prevede l’incisione dell'addome e la rimozione dell'adenoma prostatico. Questo intervento si riserva comunemente in caso di notevole ingrandimento della prostata (superiore ai 100 grammi). La cateterizzazione dura circa 4/5 giorni nel corso dei quali il paziente rimane degente in clinica.
- La HoLEP (Holmium Laser Enucleation of Prostate Enucleazione prostatica tramite laser a Holmio) si svolge in endoscopia inserendo una sonda laser per via transuretrale (come nella Turp), e incidendo così la prostata si asporta l'adenoma prostatico staccandolo dalla parte sana dell'organo. La cateterizzazione dura 1/2 giorni, mentre la degenza si esaurisce in 24 ore al massimo.
- La TUIP (Trans-Urethral Incision of the Prostate. Incisione transuretrale della prostata): anche in questo caso si procede in via endoscopica, però tale intervento è consigliato per prostate dal peso inferiore ai 30 grammi e senza sviluppo di lobo medio. Non si procede all’asportazione del tessuto ma solo a un paio di incisioni al massimo. L'intervento è di breve durata e consente una cateterizzazione celere, inferiore a due giorni, e può essere esclusa la degenza.
- La TULIP (Trans-Urethral Laser Incision of the Prostate. Incisione prostatica transuretrale mediante laser): attraverso l’uretra prostatica s’inserisce una sonda attraverso la quale si produce un raggio laser che si concentra sulla lesione. La caterizzazione si realizza in 2/3 giorni ed è consigliata una degenza di 24 ore.
- Interventi mininvasivi con accesso diretto percutaneo:
- La TUMT (Trans-Urethral Microwave Thermotherapy. Termoterapia transuretrale a microonde) consiste nell’inserimento di un ago nella prostata, con liberazione di micro-onde (termiche), successiva necrosi e riduzione del tessuto prostatico. L'operazione prevede un breve periodo di cateterizzazione, mentre il decorso post-intervento richiede circa due mesi.
- La TUNA (Trans-Urethral Needle Ablation of the prostate. Ablazione prostatica con ago a radiofrequenza) è una tecnica che si differenzia dalla precedente poiché l’ago inserito emette onde di radiofrequenza, che agitano gli ioni e liberano energia. Questa energia brucia il tessuto prostatico e ne diminuisce le dimensioni. Cateterizzazione e decorso post-operatorio sono simili a quelli della termoterapia transuretrale. Si può però ricorrere a queste metodiche (TUMT e TUNA) normalmente per prostate con peso inferiore a 50 grammi.
- La ILC (Interstitial Laser Coagulation. Coagulazione laser interstiziale) è una tecnica che si basa sulla coagulazione del tessuto della prostata tramite energia laser che viene emessa da una fibra infissa nel tessuto stesso. L'intervento richiede una cateterizzazione di una o due settimane e un decorso post-intervento che va dai due ai tre mesi.
- Tecniche alternative: si stanno sperimentando tecniche alternative alle precedenti come la crioablazione, e i campi elettromagnetici pulsati.
- Cure farmacologiche: Oltre alle soluzioni prospettate c’è anche la possibilità di non ricorrere ad alcun intervento facendosi posizionare un catetere vescicale permanente. E’ pure possibile procedere, in alternativa a tutto ciò che è stato detto in precedenza, alla semplice osservazione assistita ricorrendo, se del caso, a cure farmacologiche appropriate.
La terapia farmacologica normalmente è a base di alfa-antagonisti (come tamsulosin, alfuzosina e terazosina che contribuiscono a rilassare la muscolatura liscia dell'uretra prostatica, favorendo così il passaggio dell'urina) o di inibitori della 5-alfa-reduttasi (in particolare la finasteride che agisce arrestando la trasformazione del testosterone nella sua forma attiva, quella che stimola la crescita della prostata).
La TURP è in assoluto l’intervento chirurgico più utilizzato ma come tutti gli interventi non è immune da possibili complicanze, tra queste le più ricorrenti sono:
- eiaculazione retrograda nel 60 – 80 %
- sanguinamento intraoperatorio con necessità di terapia trasfusionale in circa 0,4 – 7 %
- necessità di reintervento per persistenza di sintomi urinari tra il 3 - 14 %
- incontinenza e stenosi uretrale iatrogena in circa 0.5 – 1%
- COME SI EFFETTUA L’EMBOLIZZAZIONE DELLE ARTERIE PROSTATICHE?
Si procede a un’occlusione molto selettiva delle sole afferenze vascolari della ghiandola prostatica, dette comunemente arterie prostatiche, utilizzando microsfere, più piccole dei granelli di sabbia e non riassorbibili, che causano una occlusione dei vasi arteriosi intraparenchimali con conseguente atrofia ischemia del tessuto prostatico, con una successiva e graduale diminuzione del suo volume.
Infatti si è osservato che occludendo i vasi prostatici si interrompe il nutrimento al tessuto adenomatoso ipertrofico della prostata, che in alcune settimane tenderà a diminuire di volume in maniera significativa. La stessa tecnica è già utilizzata comunemente da diversi anni per altre patologie quali il fibroma dell’utero (embolizzazione delle arterie uterine).
L’operazione, comunque complessa, richiede un'adeguata attrezzatura angiografica digitale di ultima generazione (con software per l’elaborazione dell’immagine arteriografica) e soprattutto di una equipe di radiologi interventisti, particolarmente esperti nella tecnica di cateterismo super-selettivo.
L’arteriografia è l’indagine diagnostica preliminare eseguita allo scopo di ottenere la mappa vascolare del distretto prostatico. Per l’arteriografia si utilizza un apparecchio radiologico che emette raggi X con controllo delle dosi che rimangono comunque nel campo della radiologia diagnostica; la visualizzazione delle arterie è resa possibile mediante l’iniezione di mezzo di contrasto intravascolare; il liquido di contrasto può dare una leggera sensazione di calore percepibile nella zona in studio.
L’intervento si effettua in una particolare sala operatoria, detta sala angiografica/emodinamica, dove sono presenti sia l’apparecchio angiografico digitale (con la telecamera che consente di vedere all’interno del corpo umano) sia monitor e quant’altro necessario per il controllo dei parametri vitali del paziente.
L’operazione di embolizzazione prostatica prevede un’anestesia locale a livello dell’accesso arterioso percutaneo [femorale o brachiale], in alcuni casi si esegue anche una sedazione per via endovenosa. Mediante puntura dell’arteria d’accesso si esegue il posizionamento di un introduttore vascolare (che consente di operare, senza spargimenti di sangue), poi con un catetere diagnostico si procede alla preliminare arteriografia.
Dalle immagini angiografiche ottenute, attraverso software dedicati, si possono trarre le necessarie informazioni per poter effettuare il successivo cateterismo superselettivo (con microcatetere che sarà introdotto all’interno del catetere diagnostico), così da poter scegliere dove iniettare le microsfere (nelle arterie prostatiche) che consentiranno di bloccare l’afflusso di sangue al fine di determinare l’ischemia del tessuto prostatico.
E’ previsto il posizionamento di un catetere vescicale per facilitare lo svuotamento della vescica durante e dopo l’intervento, che è normalmente rimosso dopo circa 12 ore salvo diverse prescrizioni.
L’intervento dura mediamente 60/90 minuti: è prevista, ove possibile, l’embolizzazione di entrambe le arterie prostatiche, destra e sinistra, nella stessa seduta tramite un solo accesso percutaneo. Al termine viene sfilato l’introduttore vascolare ed effettuata una compressione manuale nel punto dell’accesso arterioso fino a completo controllo dell’emostasi.
Si consiglia al paziente la posizione supina a letto per almeno 12 ore, così da favorire la naturale chiusura dell’accesso arterioso praticato per l’intervento. Il chirurgo/radiologo interventista che ha eseguito l’intervento può disporre, precauzionalmente, un periodo di riposo a letto più lungo.
- E’ UN INTERVENTO RISCHIOSO?
Come ogni intervento, anche l’embolizzazione arteriosa percutanea presenta dei rischi, che comunque sono inferiori rispetto a quelli chirurgici.
Esistono le complicazioni legate alla tecnica dell’accesso percutaneo: ematoma, pseudoaneurismi o fistole artero-venose nella sede di puntura, reazione allergica ai mezzi di contrasto, lieve insufficienza renale da impiego di mezzo di contrasto. Tali complicazioni sono riportate in letteratura e per questo devono essere conosciute, anche se sono facilmente gestibili e risolvibili.
Poi ci sono le complicazioni legate all’embolizzazione: l’iniezione accidentale e non desiderata delle particelle embolizzanti in altri rami arteriosi può comportare l’ischemia di territori in cui non era programmata l’embolizzazione. E’ possibile che ciò procuri lesioni ischemiche, della vescica eo del retto, che comunque non hanno mai richiesto un intervento chirurgico di riparazione. Queste evenienze sono riportate in letteratura in una percentuale molto bassa e sono evitabili utilizzando accurati controlli angiografici selettivi dei territori vascolari, che saranno poi sede dell’embolizzazione.
Nei giorni successivi l’operazione (circa una settimana) il paziente presenta spesso un peggioramento dei suoi disturbi urinari. Tale condizione è dovuta all’irritazione della mucosa uretrale da parte del catetere vescicale, che è mantenuto in sede per circa 12 ore dopo l’intervento, e alla infiammazione dei tessuti prostatici sede dell’embolizzazione con congestione del pavimento pelvico.
Non è prevista alcuna trasfusione di sangue ma, come per ogni intervento, non possono escludersi complicanze che ne impongano il ricorso. Dovrà quindi dare o negare il proprio consenso alla eventuale trasfusione.
- QUALI BENEFICI MI DEVO ASPETTARE?
E’ importante comprendere molto bene che l’intervento di embolizzazione delle arterie prostatiche mira alla riduzione del volume della prostata che, statisticamente, si realizza in oltre il 90% dei casi con una riduzione delle dimensioni e del volume variabili tra il 15% e il 30%.
Dalla riduzione del volume della prostata il paziente potrebbe ottenere dei benefici: in base all’esperienza personale e di altri centri ospedalieri italiani, internazionali e dai dati riportati in letteratura, è possibile affermare che circa l’80/90% dei pazienti ha dichiarato un significativo miglioramento dei sintomi urinari.
I miglioramenti riguardano principalmente i parametri flussometrici, la riduzione dello stimolo incontrollabile alla minzione, la frequenza delle minzioni durante le ore del riposo notturno e la riduzione del residuo vescicale post minzionale. Nei pazienti portatori di catetere vescicale a permanenza per ostruzione completa del flusso urinario spontaneo, dopo embolizzazione delle arterie prostatiche, si ottiene la rimozione del catetere in circa il 70/80% dei casi, a condizione che la vescica abbia mantenuto una sufficiente capacità di contrazione e che non vi sia una condizione di incapacità di svuotamento come in presenza di voluminosi diverticoli parietali vescicali.
A differenza della TURP, l’embolizzazione non comporta mai il fenomeno della eiaculazione retrograda. In ogni caso, l’intervento di embolizzazione prostatica, non esclude che possa poi eseguirsi, qualora le circostanze lo impongano, un intervento tradizionale tipo TURP.
In conclusione l’embolizzazione prostatica è un intervento minivasivo che mira a un miglioramento del benessere di vita e alla sospensione e/o riduzione dei farmaci che facilitano il flusso e la minzione. Ovviamente, mentre la riduzione del volume della prostata è oggettivamente apprezzabile con strumenti di diagnostica per immagini, gli altri benefici (flusso, numero e impellenza della minzione, nicturia ecc.) dipenderanno dalle valutazioni del soggetto. Non è escluso che nonostante si sia ottenuta una riduzione significativa del volume della prostata, il paziente non percepisca miglioramento nella minzione, nel flusso urinario o nella ritenzione.
- COMPORTAMENTI POST OPERATORI
Nel periodo post operatorio, come sopra ricordato, i sintomi irritativi urinari spesso aumentano. Dopo la dimissione è raccomandabile non sottoporsi a sforzi fisici per un periodo di circa una settimana.
Una volta dimesso, pur non avendo limitazioni funzionali, il paziente dovrà soprassedere dal guidare qualsiasi veicolo (anche non a motore) e dallo svolgere la normale attività lavorativa almeno per 2 giorni. Nel periodo successivo all’operazione sarà sottoposto a un trattamento farmacologico.
In particolare si consiglia:
- a) antibiotico (es. Ciproxin 1000 RR comp. per circa 5 giorni);
- b) antinfiammatorio per alcuni giorni fino a scomparsa dei sintomi irritativi (es. Topster supp. Forprost comp. Orudis comp. 100 mg);
- c) alfalitico prostatico (es. Urorec 8mg / Xatral 2,5 mg).
Ovviamente ciascuno di questi farmaci potrà contenere controindicazioni rispetto al proprio stato di salute generale e ad altre patologie concorrenti. E’ quindi necessario, prima di sottoscrivere il presente consenso informato, che il paziente consulti il proprio medico curante informandolo che intende sottoporsi a un intervento di embolizzazione della prostata, facendosi consigliare in merito alla compatibilità dei farmaci da assumere secondo il protocollo descritto.
Al paziente sarà consigliato un controllo morfologico con RM a circa tre mesi dall’embolizzazione e una visita di controllo clinico a circa 15 dall’intervento per la verifica della sintomatologia post embolizzazione.
Cosa sono gli interventi di Radiologia Endovascolare?
Attualmente possiamo affermare che almeno l’80% degli interventi di chirurgia vascolare sono eseguiti con “tecniche endovascolari”. Queste tecniche consentono di curare le malattie vascolari in modo minivasivo, senza utilizzo del bisturi e senza tagli che prima servivano a raggiungere i vari distretti vascolari da sottoporre a intervento.
Chi soffre di malattie vascolari è spesso un soggetto a un altissimo rischio per le concomitanti compromissioni cardiache e respiratorie, se si applicano le tecniche chirurgiche tradizionali.
Al contrario la mortalità e le complicanze post operatorie, con i trattamenti mininvasivi di Radiologia Interventistica Endovascolari, sono nettamente inferiore a quella della chirurgia aperta tradizionale e così pure la degenza media è nettamente ridotta.
Per quali patologie queste tecniche sono davvero efficaci e quali vantaggi presentano rispetto a quelle tradizionali?
Le tecniche di Radiologia Interventistica Endovascolare rappresentano un trattamento moderno, con applicazioni importanti, nella cura di patologie che possono determinare gravi conseguenze cliniche per il paziente come ad esempio:
- aneurismi dell’aorta addominale o toracica (con possibile rottura ed emorragia letale)
- arteriopatie degli arti inferiori (che determinano claudicatio con possibili ischemie e necrosi delle estremità delle dita dei piedi fino alla gangrena con conseguente amputazione dell’arto)
- stenosi dell’arteria carotide interna (che possono provocare gravi ictus cerebrali)
Da cosa dipende il risultato degli interventi endovascolari?
Il successo di queste tecniche è condizionato dal grado di esperienza e preparazione del team medico che le esegue.
La preparazione teorico-pratica del medico radiologo interventista necessita di anni di studio e di un numero congruo di interventi eseguiti come primo operatore: non da ultimo dalla più vasta esperienza nell’uso di diverse tipologie di endoprotesi e devices
(stent, guide e cateteri), per essere all’altezza di scegliere i materiali più opportuni per le diverse condizioni anatomiche che si possono incontrare.
La scelta dei materiali più idonei e il loro uso per i diversi tipi di trattamento sono determinanti per la migliore strategia da utilizzare nelle varie fasi dell’intervento endovascolare.

